IL MISTERO DEI TEMPLARI

ARTICOLI SUI CAVALIERI DEL TEMPIO DI GERUSALEMME

giovedì 16 aprile 2009

SUL GRAAL


SUL GRAAL

Il termine Graal deriva dal latino Gradalis, con cui si designa una tazza, un vaso, un calice, un catino.
Questi umili oggetti rivestono nella mitologia un nobile ruolo: sono infatti i simboli del grembo fecondo della Grande Madre, la Terra, e, come l'inesauribile Cornucopia dei Greci e dei Romani, portano vita e abbondanza.
Molti eroi celtici hanno avuto a che fare con magici calderoni; nel poema gaelico 'Preiddu Annwn' Re Artù andò a recuperarne uno addirittura negli Inferi.
La tradizione cristiana annovera almeno due sacri contenitori: il Calice dell'Eucarestia e la Vergine Maria.
Nella 'Litania di Loreto' essa è descritta come Vas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis, ovvero "vaso spirituale, vaso dell'onore, vaso unico di devozione": nel grembo (vaso) della Madonna, infatti, la divinità era divenuta manifesta.

La tradizione vuole che il Santo Graal sia stato retto da tre lastre .
Il Charpentier individua queste lastre con tre possibili vie di mutazione dell'individuo: quella dell'intuizione, quella dell'intelligenza e quella della mistica.
Sono le tre lastre che nella navata centrale della Cattedrale di Chartres si susseguono, dal portale di ingresso all'abside, da quella circolare a quella quadrata, a quella rettangolare. Esse rappresentano per il fedele la via verso la conoscenza del Santo Graal.


Il Santo Graal è la coppa che servì all'ultima Cena, è il vassoio dove Gesù e i Discepoli mangiarono l'agnello il giorno di Pasqua, è il vaso in cui Giuseppe di Arimatea, dopo la crocifissione, raccolse il sangue del Cristo.
Esso è dunque un contenitore che allo stesso tempo è anche pietra; sia esso il vaso di pietra o il vaso che contiene la pietra (GAR - AL), oppure la pietra di Dio (GAR - EL).
E' opinione oggi che la sola interpretazione delle oscurità e delle apparenti contraddizioni della storia del Graal porta a un confuso ricordo di una forma di culto semi-Cristiano e semi-Pagano il cui oggetto centrale era l'iniziazione nelle sorgenti della vita fisica e fra la Cristianità e il culto di Atti spirituale. Questo ricordo soltanto si accorda per le diverse forme assunte dal Graal, simbolo di tale sorgente.

Così il Graal può essere il Piatto con cui i fedeli partecipavano alla festa comune: può essere la Coppa in giustapposizione con la Lancia, simboli delle energie maschili e femminili sorgenti di vita fisica ben note: emblemi fallici. Può essere il Santo Graal sorgente di vita spirituale, la cui forma non è definita, "che non è lavorato in alcuna sostanza materiale". "Non era di legno, né di alcun genere di metallo, né tampoco di Pietra, o di Corno, o di Osso"; è un Oggetto Spirituale, da essere considerato spiritualmente, ma sempre, e in qualsiasi forma: Una Sorgente di Vita. Così la Pietra di Wolfram, la pura vista della quale preserva tutti gli abitanti del Castello del Graal non solo in vita, ma in Gioventù; non è che la popolare Pietra Filosofale, quella pietra che gli Alchimisti asserivano possedesse la fonte di tutta la vita.
Quando il Graal fu elevato nel piano Cristiano puramente ortodosso, e diventò la sorgente non più di vita fisica, ma spirituale, una tale sostituzione fu possibile attraverso la Pietra Alchemica.

Il possesso del Graal è da considerarsi intimamente connesso con la coscienza di quel "senso dell'eternità" che costituisce l'elemento base per il raggiungimento di uno stato reale di iniziazione.
Il Santo Graal è quindi una coppa di resurrezione a nuova vita spirituale e non già recipiente materiale dove viene raccolto il sangue di Cristo.
Prova ne è la grande considerazione in cui presso i Catari era tenuto il Vangelo di Nicodemo che altro non può essere se non un preciso simbolismo per il raggiungimento di un particolare stato di realizzazione dell'individuo.
Infatti, non poteva esistere nella dottrina Catara alcuna possibilità di venerazione verso una reliquia che aveva contenuto il sangue di Cristo essendo, per essi, la morte stessa del Cristo una manifestazione satanica.
Essi negavano la possibilità di una morte ignominiosa sulla croce del Dio incarnato e quindi, se i Catari hanno parlato del Santo Graal questo non può che avere avuto un significato simbolico e quindi non può essere stato una coppa, ricettacolo del sangue del Figlio di Dio, ma una coppa di resurrezione e di vita spirituale.
E' proprio questo termine, "resurrezione", che è forse il più adatto a definirlo, sottolineando esso un preciso momento di rinascita spirituale e quindi di una morte della materialità dell'individuo. Se vogliamo dare credito alle molte leggende che vogliono vedere nel Santo Graal il tesoro che i "Perfetti" lasciarono in custodia ai Catari prima di essere arsi vivi sui roghi di Montségur, non possiamo assolutamente considerarlo come un qualche cosa di materiale.
Esso deve perciò essere cercato e trovato nella propria anima; è un tesoro divino, una completa coscienza della propria spiritualità. E questa completa rinascita dello spirito che ha permesso ai perfetti di affrontare i roghi della crociata cattolica romana ed è essa stessa il vero tesoro lasciato ai Catari.

Il GRAAL si identifica con il Paradiso Terrestre, dove l'individuo si estrania dalla temporalità e può contemplare tutte le cose in relazione all'eternità.

Il duplice senso della parola Graal.

Essa significa, al tempo stesso, vaso (grasale) e libro (gradale), e la pietra ed il libro si fondono in uno stesso simbolo.
Il libro diventa una scrittura tracciata dal Cristo stesso sulla coppa, oppure le Tavole della Legge di Mosè, o l'enorme pietra preziosa con scolpite alcune figure rappresentanti i simboli del dualismo Cataro.
Quest'ultimo, forse, è il Tesoro che i Perfetti lasciarono ai Catari.
0 ancora, la Tavola di Smeraldo di Ermete Trismegisto che contiene il simbolismo della tradizione e dello stato e indica le tre vie per il suo raggiungimento.

LEGGENDE SUL GRAAL

Racconta la leggenda che quando Satana si ribellò a Dio, un enorme rubino che brillava sul suo elmo venne colpito dalla spada di San Michele, e cadde negli oceani della terra. Aggiunge la leggenda che esso fu ritrovato dal Saggio Re Salomone tramite la sua magia e fu trasformato dal Re stesso in una coppa per le libagioni.
Detta coppa fu adoperata poi da Gesù nell'ultima cena.
Trasformata in seguito in un vaso da unguento fu portata in Inghilterra da Giuseppe da Arimantea, e quindi scomparve.


Il Graal è associato a un libro scritto da Gesù Cristo alla cui lettura può accedere solo chi è in grazia di Dio. Le verità di fede che esso contiene non potranno mai essere pronunciate da lingua mortale senza che i quattro elementi ne vengano sconvolti.
Se ciò dovesse accadere, i cieli diluvierebbero, l'aria tremerebbe, la terra sprofonderebbe e l'acqua cambierebbe colore. Il libro-coppa possiede dunque un temibile potere.
Il Graal è collegato sia a tradizioni ebraiche sia islamiche: è infatti in relazione con una terra chiamata "Sarraz", impossibile da situare storicamente o geograficamente (non è in Egitto, ma si vede da lontano il Grande Nilo"; il suo Re combatte contro un Tolomeo, mentre la dinastia tolomaica si estinse prima di Cristo), ma situata comunque in Medio Oriente.
Da essa, infatti ebbero origine i Saraceni.

Nel poema Parzival, il tedesco Wolfram Von Eschenbach si legge che non si tratta di una coppa ma bensì di " una pietra del genere più puro chiamata lapis exillis.
Il termine lapis exillis è stato interpretato come "Lapis ex coelis", ovvero caduta dal cielo: e, difatti, Wolfram scrive che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione.
La tradizione esoterica delle pietre sacre, tramiti fisici tra l'uomo e Dio, è tipicamente orientale: la pietra nera conservata nella Ka' ba è l'oggetto più sacro della religione islamica; i seguaci della Qabbalah ebraica utilizzano il termine "Pietra dell'esilio" per designare lo Shekinah, ovvero la manifestazione di Dio nel mondo materiale; ancora più a Oriente, l'Urna incastonata nella fronte di Shiva della tradizione induista, simboleggia il "Terzo Occhio", organo metafisico che permette la visione interiore.

Del Graal si parla anche nella tradizione lucchese del "Volto Santo".
Nel VIII secolo un vescovo di nome Gualfredo si recò a Gerusalemme per visitare i luoghi sacri; là il pellegrino compì varie penitenze, digiuni ed elemosine. Fu allora che, per compensarlo della sua devozione, gli comparve un angelo, il quale lo invitò a cercare con diligente devozione nella casa presso la sua: là avrebbe scoperto "il volto del redentore", cui tributare degna venerazione.
Così, nella dimora di un certo Seleuco, Gualfredo ritrovò il "Volto Santo", un antico crocifisso scolpito in cedro del Libano dall'apostolo Nicodemo, lo stesso che aveva aiutato Giuseppe d'Arimatea a togliere dalla croce il corpo di Gesù.
In una cavità dietro la croce si trovava un'ampolla con il sangue di Cristo.
Croce e ampolla vennero caricate su una nave di grandezza straordinaria, che, guidata dagli angeli e senz'altro equipaggio, attraversò il Mediterraneo in tempesta e approdò sulle coste della Lunigiana.
Le reliquie furono disputate da Lucchesi e Lunesi, e si stabilì che il Volto Santo sarebbe stato portato a Lucca (dove è tuttora visibile nella cattedrale di San Martino), e l'ampolla sarebbe rimasta a Luni, dove se ne sono perse le tracce.

La maggior parte degli studiosi concordano nel ritenere le Crociate l'avvenimento scatenante. A partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo: sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l'Europa e vi si diffuse. C'è anche chi ritiene che il Graal sia stato rintracciato dai Crociati e riportato nel Vecchio Continente. In tal caso vi si troverebbe ancora.

I Cavalieri Templari avevano stretto rapporti con la Setta degli Assassini, un gruppo iniziatico ismailita che adorava una misteriosa divinità chiamata Bafometto . Per alcuni il Bafometto altro non era che il Graal; prima di essere sgominati, gli Assassini lo avevano affidato ai Templari, che lo avevano portato in Francia verso la metà del XII secolo; e del resto Wolfram aveva battezzato Templeisen i cavalieri che custodivano il Graal nel castello di Re Anfortas. Se le cose fossero davvero andate così, ora il Graal si troverebbe tra i leggendari tesori dei templari (mai rinvenuti) in qualche sotterraneo del castello di GISORS.

Dopo che il culto di Zoroastro era stato disperso, alcune delle sue dottrine furono ereditate dai Manichei, e, di seguito, dai Catari o Albigesi; questi ultimi erano giunti in Europa dal Medio Oriente, passando per la Turchia e i Balcani, e si erano stabiliti in Francia nel XII secolo. Nel 1244, dopo una lunga persecuzione da parte del Papato e dei francesi, furono sterminati nella loro fortezza di Montsegur; se avessero portato con sé il Graal durante le loro peregrinazioni, ora esso potrebbe trovarsi insieme al resto del loro tesoro in qualche impenetrabile nascondiglio del castello. È di nuovo Wolfram a fornire un indizio in proposito: il "Castello del Graal" (quello simile a Takht-I-Sulaiman) si chiama infatti "Munsalvaesche", cioé "Monte Salvato" o " Monte Sicuro". Negli anni '30 il tedesco Otto Rahn, colonnello delle SS e autore di 'Crusade contre le Graale La Cour de Lucifer', intraprese alcuni scavi a Montsègur e in altre fortezze catare con l' appoggio del filosofo nazista Alfred Rosenberg, portavoce del Partito e amico personale di Hitler: l'episodio fornì al romanziere Pierre Benoit, lo spunto per il romanzo 'Monsalvat'.

Importato forse dai pellegrini che si spostavano per l'Europa durante il medioevo o forse dai Savoia insieme alla Sacra Sindone, il Graal sarebbe giunto nel capoluogo piemontese; le statue del sagrato del tempio della Gran Madre di Dio, sulle rive del Po, indicano, a chi è in grado di comprenderne la complessa simbologia, il nascondiglio della Coppa.

Nel 1087, un gruppo di mercanti portò a Bari dalla Turchia le spoglie di San Nicola, e in loro onore venne edificata una basilica. In realtà la translazione del Santo era solo la copertura di un ritrovamento ben più importante, quello del Graal.
I mercanti erano in realtà cavalieri in missione segreta per conto di Papa Gregorio VII. Il Pontefice era al corrente del potere del Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua ricerca, né l'eventuale ritrovamento, in quanto esso era un oggetto pagano, o comunque il simbolo di una religione ancor più universale di quella cattolica.
Gli premeva di recuperarlo da Sarraz in quanto temeva che la sua presenza sul suolo turco avrebbe aiutato i Saraceni (in questo caso i Turchi Selgiuchidi) nella loro espansione ai danni dell'Impero Bizantino, e avrebbe nociuto al programmato intervento di forze cristiane in Terra Santa a difesa dei pellegrini.
Non è dato di sapere dove si trovava la coppa (che, forse, era passata per le mani di San Nicola nel VI secolo, e che gli avrebbe conferito la fama di dispensatore d'abbondanza ) e chi comandò la spedizione; sta di fatto che, in una chiesa sconsacrata di Myra, i cavalieri prelevarono anche alcune ossa, poi ufficialmente identificate come quelle del Santo.
Il recupero delle spoglie giustificò la spedizione in Turchia e l'edificazione di una basilica a Bari; la scelta di custodire il Graal in quella città anzichè a Roma fu determinata da due motivi: da lì si sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra Santa (la prima crociata fu bandita sei anni dopo il ritrovamento) e il Graal avrebbe riversato su di loro i suoi benefici effetti; in più la sua presenza avrebbe protetto Roberto il Guiscardo, Re normanno di Puglie, principale alleato del Papa nella lotta contro Enrico IV.
A ricordo dell'avvenimento, sul portale della cattedrale (edificata parecchi anni prima della divulgazione della "Materia di Bretagna") si trova l'immagine di Re Artù e un'indicazione stilizzata del nascondiglio; la tomba di San Nicola continua a emanare un liquido chiamato "manna" che, oltre a essere altamente nutritivo, come il Graal guarisce da ogni male.

CONCLUSIONI

Il Graal è un oggetto materiale e spirituale insieme. Non si conosce esattamente la sua natura: forse è una pietra, forse è un libro, forse un contenitore; è certo che permette di abbeverarsi (l'ultima cena), ma vi si può anche versare qualcosa (il sangue di Cristo crocefisso).
Può guarire le ferite, dona una vita lunghissima, garantisce l'abbondanza, trasmette e garantisce la conoscenza, ma è anche dotato di poteri terribili e devastanti.
In qualche modo ignoto Gesù ne è entrato in possesso.
Le varie leggende a proposito del Graal concordano nel conferirgli un origine ultraterrena.
Per la tradizione cristiana, il Graal rappresenta l evangelizzazione del mondo barbaro, operata dai missionari, Giuseppe d'Arimatea, stroncata dalle persecuzioni e ripresa da un gruppo di uomini di buona volontà guidati da un sacerdote, Merlino.
Per gli esoteristi Renè Guenon e Julius Evola il Graal è il cuore di Cristo, potente simbolo della Religione Primordiale praticata ad Agharti, di cui Gesù sarebbe stato un esponente; per gli alchimisti rappresenta la conoscenza, e la sua ricerca equivale a quella della Pietra Filosofale o dell Elisir di lunga vita.

http://www.bethelux.it/graal.htm

I Cavalieri Templari


I Cavalieri Templari

I Templari furono un ordine monastico-cavalleresco (cioè erano allo stesso tempo monaci e soldati) fondato nel 1119 da Hugues de Payen, insieme ad altri otto confratelli, a Gerusalemme. Venti anni prima, il 15 luglio del 1099, i principi che avevano sottoscritto la Prima Crociata, indetta da papa Urbano II, avevano riconquistato Gerusalemme sottraendola ai Saraceni. Il principe Baldovino di Fiandra, fratello di Goffredo di Buglione, divenne primo re di Gerusalemme col nome di Baldovino I. La Terrasanta, però, continuava a rimanere terreno pericoloso per i frequenti scontri con i Saraceni che premevano per riprendersi il Santo Sepolcro, così, secondo le fonti storiche ufficiali, nacque l'idea della costituzione di un ordine militare per la protezione e la difesa armata dei pellegrini, organizzata internamente come un ordine monastico. Baldovino, il patriarca di Gerusalemme e tutto l'alto clero appoggiarono l'impresa e il re concesse loro di occupare le vaste scuderie ricavate nei sotterranei della Grande Moschea di Al-Aqsa, costruita sul luogo dove un tempo sorgeva il Tempio di Salomone. Per tale motivo, il gruppo neoformato cominciò ad essere chiamato "Cavalieri del Tempio" e quindi Cavalieri Templari. In realtà come ordine monastico vero e proprio venne approvato soltanto nel 1128, con il Concilio di Troyes, tenutosi sotto il pontificato di papa Onorio II. A spingere il papa, ancora restio all'idea che un monaco potesse essere abilitato a spargere sangue, a concedere loro il riconoscimento ufficiale fu San Bernardo di Chiaravalle, allora massimo esponente dell'ordine dei Frati Cistercensi, che redasse per loro una Regola specifica mutuata da quella dei suoi confratelli. Innocenzo II, che doveva a San Bernardo l'elezione al soglio pontificio, concesse loro nel 1139 una prima serie d'importanti privilegi. Infine Eugenio III, nel 1147, concesse ai Templari, che già indossavano il mantello bianco, l'autorizzazione ad aggiungervi una croce rossa.

Nell’arco di un paio di secoli l'Ordine crebbe divenendo sempre più potente e ricco, acquistando territori in tutta Europa, ma soprattutto in Francia ed in Italia, dove furono fondate le chiese e le “mansioni” più importanti. Anche quando la Terrasanta fu nuovamente e definitivamente perduta, l'Ordine continuò a prosperare, proseguendo la sua opera di difesa dei pellegrini in Europa, lungo le strade che conducevano ai massimi luoghi di culto del tempo: il Santuario di San Giacomo di Compostella, in Galizia (Spagna) e la Basilica di San Pietro, a Roma. Celebre, a tale proposito, è la cosiddetta Via Francigena, o Romea, che collegava questi due luoghi e lungo la quale, in tutti i territori interessati dal suo percorso, si svilupparono mansioni e commanderie templari. La via proseguiva oltre Roma, nell'Italia meridionale, fino ad arrivare agli importanti porti pugliesi (come Bari e Trani) che costituivano scali d'obbligo per tutte le navi che partivano per il Medio Oriente.



Agli inizi del XIV sec. i Templari erano diventati così potenti che ormai agivano per conto loro in tutti gli Stati, senza riconoscere autorità alcuna eccetto quella del Pontefice. Le immense ricchezze accumulate faceva di loro le personalità più ricche e potenti d’Europa, tanto che molti sovrani avevano ricorso a loro per prestiti finanziari (i Templari sono stati i precursori del moderno sistema bancario, con l’invenzione della “lettera di cambio”, antenata degli attuali assegni circolari). Fu appunto un monarca, il Re di Francia Filippo IV il Bello, che decise di porre fine al predominio dei Cavalieri del Tempio (ed al suo debito nei loro confronti che cresceva sempre di più) riuscendo a convincere l’allora papa Clemente V a tacciare l’Ordine di eresia e a farlo perseguire. Ordini segreti vennero inviati a tutti i mandati del Re sul territorio francese, con l'obbligo di apertura simultanea ad una data ben precisa. Fu così che il 13 Ottobre 1307, di primo mattino, per ordine del Re vennero arrestati simultaneamente tutti i Templari di Francia che vennero trovati nelle loro "Case", tra i quali figurarono il Gran Maestro Jacques De Molay, il precettore di Normandia, Geoffrey de Charnay nonché l'ex tesoriere del regno di Francia. Il 13 Ottobre era un venerdì, e da allora il Venerdì 13 è diventato un giorno di sventura e disgrazia. Ogni commanderia templare venne sciolta, i suoi adepti furono catturati e sotto tortura confessarono ogni tipo di nefandezza che i loro persecutori volessero attribuirgli, molti abiurarono la loro fede, altri furono arsi al rogo, altri ancora furono reintegrati in altri ordini, come gli Ospitalieri o i Cavalieri Teutonici. L’ultimo atto di questa farsa in grande scala fu il 18 Marzo 1314, quando su un'isoletta della Senna vennero arsi al rogo Jacques De Molay e Geoffrey de Charnay. Una leggenda ci racconta che prima di morire, il Gran Maestro pronunciò una terribile maledizione contro il Re ed il Papa: «Aspetto davanti al Tribunale di Dio il Re di Francia prima di trecento giorni, ed il papa Clemente V prima di quaranta giorni!». Di fatto, meno di quaranta giorni dopo, nella notte fra il 19 ed il 20 Aprile, Clemente V, che da qualche tempo soffriva di vomito incoercibile, morì a Roquemaure-sur-Rhône, nei dintorni di Avignone. Nel corso dello stesso anno moriva anche Filippo il Bello. Di una male incurabile, dissero alcuni, in seguito ad un incidente di caccia (era caduto da cavallo), secondo altri. Non solo: in poco tempo tutti i discendenti del re morirono per varie cause, e la famiglia di Filippo il Bello si estinse totalmente.

Il Baphomet




Durante il processo contro i Templari, in molte delle confessioni rese dagli imputati, risultò che essi veneravano un idolo barbuto cui davano il nome di Baphomet. Questi riferimenti fecero sì che al novero delle accuse mosse contro l'Ordine si aggiungesse quella di idolatria pagana. Le numerose descrizioni che ne sono state date sono spesso discordi tra loro, ma generalmente si può affermare che tale idolo, se mai sia esistito, era costituito da una testa, provvista di barba, spesso con due o addirittura tre volti. L'adorazione di questa testa era parte integrante delle cerimonie d'iniziazione dei nuovi cavalieri, insieme ad altre pratiche "oscure" quali quella del triplice sputo sulla croce o quella del famigerato "osculum sub cauda", il bacio alla base della spina dorsale, per le quali i Cavalieri vennero accusati anche di blasfemia e sodomia. Nonostante il fatto che molte di queste confessioni furono estorte sotto torture inimmaginabili, e poi ritrattate, i riferimenti ad una testa nel culto templare sono troppi ed in troppi luoghi diversi per essere soltanto l'invenzione di un singolo cavaliere o gruppo. Di teorie, a tale proposito, ne sono state fatte tante.


http://www.angolohermes.com/Approfondimenti/Templari/Templari.html
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